Viaggiare si è bello perché ci permette di visitare posti fantastici in tutto il mondo, dai magnifici paesaggi innevati dei fiordi norvegesi alle splendide e assolate spiagge caraibiche.
Si può viaggiare con un pullman, con l'aereo con la nave e in bicicletta.
Anche camminare, se ci porta da un posto ad un altro, è viaggiare.
Credo però che qualsiasi mezzo si utilizzi al di là della comodità, della velocità del costo e del piacere che si possa provare durante il viaggio l'imperativo debba essere in assoluto la sicurezza.
Spesso e volentieri questo aspetto viene dato per scontato anche perché nella maggior parte dei casi non dipende da noi in prima persona bensì dalle competenze e dalla professionalità di chi conduce il mezzo di trasporto su cui viaggiamo.
Perché mi sento di scrivere questo?
Spesso molte vicende di cronaca vanno nel calderone del dimenticatoio ma a quelle persone che hanno vissuto esperienze tragiche i ricordi rimangono impressi nella mente per sempre come un marchio indelebile.
Un esperienza cosi tragica è capitata ad un mio carissimo amico, per motivi di riservatezza e per questioni legali in ballo non citerò il suo nome reale ma lo chiamerò con un nome fittizio: Piero.
Ricordate nel Dicembre del 2014 l'incendio nel mar Adriatico del traghetto della Norman Atlantic?
Piero si trovava proprio li e dopo averlo riabbracciato ha avuto la forza di raccontarmi l'esperienza che ha vissuto. Non voglio spaventare nessuno ma spero che quello che scriverò possa, anche se in piccolissima parte, far rizzare le antenne a chi di dovere e ad inculcare bene nella testa di queste persone che con la vita umana non si gioca, che le responsabilità bisogna prendersele fino in fondo.
Sembrava quasi che Piero fosse stato avvisato dal suo sesto senso che non dovesse salire su quella nave una volta arrivato con la sua auto al porto greco di Patrasso.
La nave non era la solita, quella grande e moderna alla quale era abituato e sulla quale ho viaggiato anche io diverse volte che più che un traghetto sembrava una nave da crociera provvista di negozi, ristoranti e perfino un casinò.
No, hai miei occhi si è presentata una nave molto più piccola, mi confida Piero, più vecchia e malandata, un catorcio per farla breve.
L'idea di farsi migliaia di chilometri in auto passando per la ex Jugoslavia però non lo allettava per nulla considerando che era Dicembre e, malgrado quella sensazione negativa, decide comunque di imbarcarsi.
La nave parte come suo solito nel tardo pomeriggio e prosegue la rotta verso lo scalo portuale di Igoumenitsa, città greca al confine con l'Albania, per accogliere nuovi passeggeri prima di ripartire per Ancona.
Per la notte viene proposto a Piero di dormire in una delle cabine disponibili per soli 5 euro, ma visionata la camera lercia e poco accogliente decide di declinare l'invito e di dormire nella sua auto quella notte, aspetto che farà la differenza tra la vita e la morte in seguito.
Tutto è tranquillo, la nave è già ripartita da Igoumenitsa, Piero si è addormentato nella sua auto pensando che al suo risveglio sarà già mattina e la nave prossima all'attracco ad Ancona ma nel bel mezzo della notte viene svegliato da forti esplosioni.
Dice: c'erano le gomme delle auto che esplodevano per il forte calore che arrivava dal ponte in metallo, il tempo di capire cosa stava succedendo, scendo dall'auto e vedo che le suole delle mie scarpe si stanno colando.
Un fumo denso,arancione per il calore si libera dagli oblò e dalle porte aperte dei piani inferiori, l'aria è irrespirabile.
Il più velocemente possibile mi porto in una zona più in alto dove reperisco un giubbotto salvagente e dove le scarpe non colano, il fumo e il panico delle persone avvolgono la nave in tutto questo ho cercato di mantenere lucidità mentale ma sapevo dentro di me che la fine era vicina.
Ho dovuto razionalizzare tutto molto velocemente, ragionare per cercare il modo migliore di sopravvivere di fronte all'inferno.
Era notte fonda, il mare in burrasca con forte vento, neve e pioggia ghiacciata.
Essendo un medico so bene quali sono i rischi correlati all'ipotermia ma anche quelli legati alle ustioni ed alle intossicazioni da fumo.
Sembrava che la maggior parte dell'equipaggio si fosse dileguata, nessuno ci ha dato assistenza, aiuto, indicazioni e in effetti quando in autonomia siamo andati alla ricerca delle scialuppe moltissime erano già sparite.
La maggior parte delle scialuppe gonfiabili al contatto con l'acqua che siamo riusciti a sganciare non si sono aperte e gonfiate come avrebbero dovuto.
Ormai il panico era diventato terrore, le persone non ragionavano in maniera razionale.
Le ore non passavano mai e nessun soccorso in arrivo, l'unica luce nella tetra notte era quella delle fiamme.
Il fumo acre non mi faceva respirare e continuavamo a spostarci in base a come il vento faceva muovere il fumo e le fiamme.
Ho visto persone che nel tentativo di salire sulle poche scialuppe disponibili, durante la discesa a poca distanza dalle pareti roventi della nave si è bruciata come delle bistecche sulla piastra.
Gente con ustioni sul volto private definitivamente dalla vista.
Gli idranti della nave non funzionavano.
Ho visto gente che si è buttata in mare, senza tenere conto dei 20 metri di salto, dell'altezza delle onde e della temperatura del mare andando in contro a morte certa.
Per fortuna che la calma e la razionalità mi hanno sempre assistito.
Nelle zone della nave risparmiate dalle fiamme dovevamo raggrupparci come dei pulcini per scaldarci perché il freddo era pungente e pericoloso, sembra un paradosso ma è così.
Solo il giorno dopo sono arrivati i soccorsi.
I getti di acqua a forte pressione che tentavano di spegnere le fiamme in molti casi sono diventati pericolosi per le persone che in alcuni casi, se non ben aggrappati a qualcosa di stabile, venivano spazzati dall'altra parte della nave. In un caso una persona è volata in mare.
Mano a mano che Piero raccontava i peli delle mie braccia si rizzavano il mio volto una maschera di incredulità.
Continua dicendo: ad un certo punto, non si sa per quale motivo nascosto, un rimorchiatore che poi ho scoperto essere albanese ha tentato di agganciare la nave ancora in fiamme e in balia delle onde per portarci verso la riva dell'Albania.
Non solo il tentativo non è andato a buon fine ma una fune che agganciava la nave al rimorchiatore nel tranciarsi ha letteralmente dilaniato una persona dell'equipaggio della piccola imbarcazione.
Alla fine, in quanto medico, sono stato tra gli ultimi a lasciare la nave e a salire sulla San Giorgio.
La cronaca, mi dice, ha tralasciato molti fatti e minimizzato alcuni aspetti.
Il lungo tempo che ci abbiamo impiegato ad arrivare sulle coste italiane, non era da attribuire alle condizioni del mare che un po' erano migliorate bensì la nave militare italiana è stata impegnata nella ricerca e nel recupero dei cadaveri.
Ho volutamente tralasciato alcuni dettagli per non far sembrare il racconto un libro dell'orrore ma davvero mi sembrava un racconto di uno scrittore pazzo.
Mi scuso se sono uscito un filo dal tema del blog ma ho pensato fosse giusto dare queste informazioni anche per la memoria delle persone che hanno perso la vita e le persone a loro vicine che hanno pianto per la scomparsa.
Cose del genere non dovrebbero mai succedere, se dovesse capitare ancora spero veramente che l'equipaggio non fugga e che sia preparato per intervenire tempestivamente perché nessuna persona perda più la vita per tali negligenze.
Sempre sul pezzo!!
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